Racconti dalla Motor Valley

Alle origini della Casa del Tridente: la Maserati dei fratelli Maserati.

La storia della Maserati è la storia di una passione indissolubile, forte come un legame di sangue. È la storia di una famiglia nata sotto il segno della meccanica e cresciuta nel mito della velocità. È la storia di sei affezionati fratelli che insieme perseguono i propri sogni superando anche le circostanze più avverse.

Nel 1914, in un piccolo garage del centro di Bologna, Alfieri, Ettore ed Ernesto Maserati fondavano la Officine Alfieri Maserati. Nel 1937 ne cedevano la proprietà ad Adolfo Orsi, che di lì a poco la trasferiva a Modena. Narrato attraverso le vicende dei fratelli Maserati, questo racconto ripercorre il primo ventennio della casa automobilistica modenese. Dai primi successi nel mondo delle corse al primo, trionfale, ingresso nell’élite dell’industria automobilistica. Un lasso di tempo piccolo se rapportato alla storia di Maserati, ma che condensa in sé tutti gli elementi che hanno caratterizzato il cammino ultracentenario della casa del Tridente.

1874-1914: i Maserati prima della Maserati.

I fratelli Maserati sono sei, tutti maschi. Carlo, Bindo, Alfieri, Mario, Ettore ed Ernesto. Nascono tra il 1881 e il 1898 da Rodolfo Maserati e Carolina Losi. Padre Rodolfo lavora a Voghera per le Regie Ferrovie, e attraverso il treno fa conoscere ai suoi figli la bellezza della meccanica.

È Carlo, il primogenito, a tracciare la strada di famiglia. A diciassette anni, mentre lavora in una fabbrica di biciclette di Affori (MI), progetta e costruisce un motore monocilindrico per velocipedi, il primo motore Maserati della storia. Arriva il supporto finanziario del marchese Michele Carcano di Anzano del Parco, e nascono così le biciclette a motore Carcano. Le corse sono il principale mezzo pubblicitario dell’epoca, ed è Carlo stesso a portare in gara la sua creazione. Il record di velocità sui 10 km alla Padova-Bovolenta e altre vittorie gli valgono le attenzioni di Vincenzo Lancia, che nel 1901 lo fa assumere in Fiat. Ci resta tre anni, prima di spostarsi a Milano alla Isotta Fraschini come collaudatore e assistente in sala prove, portando con sé suo fratello Alfieri.

Carlo però vuole tornare a correre. Si trasferisce alla Bianchi, ma gli scarsi risultati lo spingono, dopo solo un anno, alla OTAV, dove si fa raggiungere poi da Ettore e Bindo. Insieme al primo decide di mettersi in proprio e lanciarsi in una nuova avventura, ma una malattia polmonare, quando Carlo ha solo 29 anni, stronca prematuramente la sua sete di conquiste.

Il testimone di famiglia passa ad Alfieri, che entrato come garzone grazie al fratello maggiore, in poco tempo riesce a scalare le gerarchie della Isotta Fraschini, dimostrando di eccellere, oltre che nella meccanica, anche nelle pubbliche relazioni. Come Carlo, ha la passione della velocità e il senso della famiglia. Diventa pilota e chiama in azienda il fratello Ettore, con cui si lancia alla conquista commerciale delle Americhe.

Una foto di Alfieri Maserati al Gran Premio di Monza 1929.


1914-1925: la nascita della Officine Alfieri Maserati.

Dopo aver accumulato esperienza in giro per il mondo, compreso un lungo soggiorno commerciale in America Latina, Alfieri può dare sfogo a tutta la sua intraprendenza. Dopo circa un anno come rappresentante della Isotta Fraschini a Bologna, nel 1914 Alfieri, all’epoca 27enne, decide di dar vita al sogno di lavorare insieme ai suoi fratelli. Bindo preferisce restare a Milano. Ettore e il piccolo Ernesto, invece, si uniscono a lui, entusiasti.

Martedì 1° dicembre 1914 Alfieri, Ettore ed Ernesto Maserati aprono un garage con annessa officina meccanica per riparazioni automobili. Si chiama Società Anonima Officine Alfieri Maserati. Apre in via De’ Pepoli 1A, a Bologna. Passano solo pochi mesi, però, e anche l’Italia si getta nel baratro della Prima Guerra Mondiale. Alfieri ed Ettore vengono chiamati al fronte. L’officina resta in mano ad Ernesto, allora sedicenne, prima che anche lui parta nel 1916.

I tre si ritrovano a Bologna subito dopo la fine della guerra. Indenni e con un bagaglio di esperienza accresciuto. La voglia di fare è tanta, lo spazio in officina è poco. C’è bisogno di una nuova sede, che i fratelli trovano dall’altra parte di Bologna, in località Pontevecchio, in uno stabile che si affaccia sul tronco di Via Emilia chiamato Levante, da cui ne deriverà, quasi cento anni dopo, il nome del primo SUV della casa del Tridente.

Il 1° aprile 1919 Alfieri, Ettore ed Ernesto riprendono a pieno regime le attività, che consistono nella messa a punto e nella modifica di vetture da corsa. Non c’è ancora il desiderio di produrle, ma quello di guidarle sì. Soprattutto da parte di Alfieri, che nel 1920 rientra nelle corse. Lo fa con una SCAT di tre litri di cilindrata, acquistata come residuato bellico e modificata insieme ai fratelli, alla Parma-Poggio di Berceto. Si ritrova ad affrontare i grandi nomi dell’automobilismo: Giuseppe Campari su Alfa Romeo, Brilli Peri su Aquila, un giovanissimo Enzo Ferrari su Isotta Fraschini. La differenza di competitività è troppa, e Alfieri non riesce a lasciare il segno. Due settimane dopo si presenta al Mugello a bordo di una Nesselsdorf, ma il risultato non cambia. Alfieri decide allora di prendere in mano la situazione. Acquista un telaio Isotta Fraschini e gli abbina un motore otto cilindri Hispano-Suiza. Completano la vettura un cambio SCAT, il ponte Itala, le ruote a raggi Rudge. Viene chiamata “Tipo Speciale” ed è la prima auto assemblata Maserati.

Nel luglio 1921, ancora al Mugello, la Tipo Speciale si classifica al quarto posto. Un mese dopo, alla Susa-Moncenisio, con al fianco il fratello Ernesto, la Tipo Speciale regala ai Maserati la loro prima vittoria nelle corse. Gareggia al Gran Premio Gentlemen di Brescia, dove arriva quarta, prima di essere riposta in garage a favore di nuovo dell’Isotta Fraschini, modificata a dovere nell’officina Maserati.

Nel 1922 Alfieri ed Ernesto sono i primi a tagliare il traguardo al Mugello, nella Susa-Moncenisio e nella Aosta-Gran San Bernardo. Sono loro le nuove star dell’automobilismo italiano. La Diatto li ingaggia come consulenti. Alfieri ed Ernesto portano la casa torinese al successo nella Susa-Moncenisio e nella Aosta-Gran San Bernardo del 1923. Ma non con una Diatto, scartata da Alfieri perché troppo poco competitiva, bensì con l’Isotta Fraschini-Hispano Suiza-SCAT-Itala di due anni prima, rispolverata e aggiornata per l’occasione. La stagione successiva, quella del 1924, finisce senza successi e addirittura con una squalifica, ingiustamente inflitta ad Alfieri per una sostituzione di motore non consentita dal regolamento e commessa, a sua insaputa, dai meccanici della Diatto.

1926-1932: l’ascesa della Maserati.

Nel 1925 si disputa la prima edizione del Campionato del mondo di automobilismo per case costruttrici, antesignano della Formula 1. La Diatto versa in gravi difficoltà, sia tecniche che finanziarie, tanto da riuscire a partecipare solo all’ultima gara della stagione, il Gran Premio d’Europa che si corre a Monza. Al trionfo di Alfa Romeo fa da contraltare l’abbandono delle corse dei Diatto. Il ritiro della casa torinese è la grande occasione di cui Alfieri aveva bisogno per decidersi a compiere il grande passo. Ma ai successi sportivi i Maserati non hanno saputo affiancare quelli gestionali. Le casse dell’officina languono, e come trent’anni prima con Carlo e le biciclette a motore Carcano c’è bisogno dell’intervento di un altro marchese, il gentlemen driver Diego de Sterlich, per sbloccare la situazione. Il marchese supporta di tasca propria l’operazione, e così i Maserati portano nell’officina bolognese dieci telai Diatto 30 Sport, oltre a cambi e ad altre componenti meccaniche.

Per tutto l’inverno si dedicano alla produzione della loro prima auto da corsa. Si chiama “Tipo 26”, come l’anno di fabbricazione. È mossa da un 8 cilindri in linea di 1500 cc, sovralimentato da un compressore che sviluppa 120 CV a 5.300 giri al minuto. È la prima Maserati vera e propria, e ha bisogno di una stemma che la renda inconfondibile. Alfieri si rivolge a Mario, il quinto dei fratelli Maserati, l’unico che alle automobili ha sempre preferito l’arte.

Mario, leggenda vuole su imbeccata del marchese De Sterlich, propone il tridente scolpito dal Giambologna nella mano destra della statua del Nettuno, nella fontana dell’omonima piazza sita nel centro di Bologna, città d’adozione dei Maserati. Con il nuovo stemma, simbolo di potenza e di comando, e sotto la guida di Alfieri, la Tipo 26 fa il suo esordio nella Targa Florio del 25 aprile 1926. È rossa, come da colore nazionale italiano nelle corse, e porta il numero 5.

Alfieri, coadiuvato dal meccanico Guerino Bertocchi, vince la sua classe e ottiene l’ottavo posto assoluto, davanti persino a due Bugatti. Galvanizzati, i Maserati producono subito altri esemplari di Tipo 26, mentre Ernesto, a metà giugno, la porta al primo successo assoluto al Chilometro Lanciato a Bologna.

La Tipo 26 diventa l’oggetto del desiderio. Tutti i piloti italiani ne vogliono una, anche il gentleman driver Joaquím Palacio, la cui Maserati sarà la prima assoluta venduta fuori dai confini. Alla fine ne saranno prodotte 43, in numerose varianti. Nel frattempo Alfieri continua a mietere vittorie, ma un grave incidente nella Coppa Messina dell’8 maggio 1927 rischia di interrompere tutto quanto. Alfieri si riprende, ma è costretto a cedere il palcoscenico a Emilio Materassi, pilota fiorentino che a fine stagione si laurea campione italiano assoluto, il primo di una lunga serie di titoli della casa tridentina.

Nel 1929 arriva il record di velocità, il primo nella storia di Maserati e un primato che resterà imbattuto fino al 1937. Lo stabilisce nel circuito di Cremona Baconìn Borzacchini, che con la 16 cilindri V4 vola sui 10 chilometri alla media di 246,069 km/h. Ma i successi sportivi non riescono ancora ad allontanare i problemi economici. Dopo altri generosi esborsi del marchese De Sterlich, nel novembre del 1929 la Maserati delibera un aumento di capitale, da 50.000 lire a un milione, nella speranza di portare l’azienda alla sicurezza e all’autosufficienza economica.

Il 1930 è un’altra stagione di successi. Nel Gran Premio di Monza le Maserati occupano tutti e tre i gradini del podio. In ripetute occasioni alle Bugatti e alle Alfa Romeo, queste ultime guidate dai piloti della neonata Scuderia Ferrari, non resta che mangiare la polvere. Grazie alla vittoria sul Circuito di Tripoli, Alfieri riceve il titolo di Cavaliere, e la Maserati conquista per la seconda volta il Campionato Italiano Marche.

 

Il 1931 si apre con la vittoria al Real Premio di Roma della Maserati V4 guidata da Ernesto. Le condizioni di salute di Alfieri, però, iniziano sensibilmente a peggiorare. Conseguenze mai pienamente sopite dell’incidente di Messina del 1927 lo costringono a un intervento chirurgico, per salvargli l’unico rene rimasto. Non riuscirà a superarlo. Alfieri scompare il 3 marzo 1932, all’età di 44 anni. A Bologna viene decretato il lutto cittadino. Al funerale partecipano tutti: Nuvolari, Ferrari, Nazzaro, Borzacchini, Campari, Minola, il marchese De Sterlich uniscono il loro cordoglio a quello di una folla immensa.

È il momento di una nuova ripartenza, l’ennesima. Bindo comprende la delicatezza del momento e lascia la Isotta Fraschini per unirsi ai fratelli Ettore e Ernesto. I tre sono rispettivamente Presidente, responsabile della progettazione e responsabile dei collaudi. La prima creazione nel nuovo assetto societario è la Tipo V5, che Fagioli porta alla vittoria al debutto nel Reale Premio di Roma. Il 1932, iniziato così sciaguratamente, si chiude con 20 vittorie, di cui quattro assolute.

L’anno successivo la Maserati raggiunge nuovi apici di successo, grazie alla 8CM, la prima Maserati monoposto, e a Tazio Nuvolari, che indispettito dal rifiuto di Enzo Ferrari di unirsi a lui in un nuovo team ha lasciato l’Alfa Romeo per correre con il Tridente. Arrivano due titoli italiani, con Nando Barbieri e Luigi Castelbarco nelle classi 1100 e 150, ma anche nuovi lutti. Perdono la vita Campari e Borzacchini, due piloti “di famiglia”. La determinazione dei Maserati vacilla, e quando l’egemonia delle auto tedesche, favorita dai nuovi regolamenti sportivi, riporta le casse aziendali in cattive acque, per i tre fratelli arriva il momento di interrogarsi sul futuro.

1933-1939: dai Maserati a Orsi, da Bologna a Modena.

La soluzione ai problemi cronici di gestione societaria arriva da un giornalista. Nonostante la scomparsa di Alfieri, che dell’azienda era anche un infaticabile addetto PR, i Maserati continuano a godere di ottima stampa. L’inviato a loro più vicino è Corrado Filippini, giornalista del Littoriale, il quotidiano sportivo stampato a Bologna. Con Alfieri, Filippini aveva addirittura creato una specie di organizzazione sindacale per proteggere gli interessi dei piloti.

Avendola seguita per tanto tempo, Filippini sa perfettamente che senza un vero capitano d’industria i Maserati non riusciranno mai a godere della necessaria tranquillità economica. Decide allora di rivolgersi a Adolfo Orsi, un ex garzone di macelleria modenese che raccogliendo stracci usati durante la vendita di frutta in strada era arrivato a costruire un impero che andava dalla metallurgia alle macchine utensili, dalle macchine agricole al settore terziario.

Da grande imprenditore qual è, Orsi capisce subito che le sue aziende, seppur estranee al settore automobilistico, non potranno che beneficiare della visibilità e del prestigio associato al marchio Maserati. E i Maserati, dal canto loro, sanno bene che liberi dai grattacapi della gestione aziendale, potranno finalmente dedicarsi a ciò che sanno fare meglio, ossia progettare e costruire automobili da corsa.

L’incontro avviene al Gran Premio di Modena del 1936. Le parti si piacciono subito, e come spesso accade fra gentiluomini l’accordo diventa questione di un attimo. Il 1° maggio 1937 Adolfo Orsi diventa proprietario di due società: le Officine Alfieri Maserati, che costruiscono automobili da corsa, e la Fabbrica Candele Maserati, che produce candele di accensione. Adolfo amministra le aziende, affida l’attività commerciale al figlio Omar e vigila sull’operato dei Maserati, garantendo loro la libertà d’azione necessaria perché esprimano al meglio le loro eccezionali qualità tecniche e umane. I fratelli proseguono, nella veste formale di consulenti, nelle loro tradizionali attività, progettando automobili da corsa, sviluppandole e portandole in gara. L’unica differenza è nella sede, che nel settembre del 1939 viene spostata da Bologna a Modena, in viale Ciro Menotti.

L’inizio di questa nuova fase è memorabile: nel 1939, con la guerra ormai alle porte, arriva lo storico successo alla 500 Miglia di Indianapolis della Maserati 8CTF  – otto Cilindri Testa Fissa – guidata da Wilbur Shaw. Vittoria bissata l’anno successivo e sfiorata nuovamente nel 1941. Un’impresa ancora oggi mai eguagliata da parte di un’automobile italiana.


1939-1947: la prima Maserati su strada è l’ultima dei fratelli Maserati.

Quando la felice convivenza comincia a dare i suoi primi frutti, però, ecco esplodere il secondo conflitto mondiale. Come tante altre aziende in quel periodo, la Maserati si deve riconvertire alla produzione bellica. Una dozzina di 4CL vengono messe in sicurezza vicino a Milano nel garage di Antonio Ruggeri, uomo di corse appassionato del Tridente. Torneranno a Modena a Liberazione avvenuta.

La Maserati si concentra sulla produzione di candele, accumulatori ed elettro-carri, ma i fratelli Maserati continuano a progettare il futuro, certi che l’automobile ne sarà sempre più protagonista. Nel 1940 lavorano ai primi disegni tecnici di una vettura granturismo. E se il 22 aprile 1946 a Nizza, alla prima corsa internazionale del dopoguerra, la Maserati si presenta puntuale all’appuntamento, e vince proprio con una delle 4CL tenute nascoste durante il conflitto, il marzo 1947 vede il debutto, al Salone di Ginevra, della prima vettura Maserati destinata all’uso su strada.

È la Maserati A6: A come Alfieri, 6 come i cilindri del motore. I suoi padri sono l’ingegner Alberto Massimino (ex Fiat, Alfa Romeo e Auto Avio Costruzioni) ed Ernesto Maserati. È una berlinetta dal motore di un litro e mezzo a testa fissa e doppio albero a camme, derivato dalla 6CM da corsa. La sua carrozzeria è firmata da “Pinin” Farina. Le linee filanti e incredibilmente innovative le valgono subito il primo posto all’ambitissimo “Grand Prix” d’eleganza di Monte Carlo. Sarà prodotta fino al 1956 in numerose varianti, da corsa e da strada, una delle quali, la Berlinetta A6 GCS/53, è esposta insieme ad altre gioielli d’epoca del Tridente alla Collezione Umberto Panini di Modena

Superata indenne anche questa guerra, la Maserati è sempre alla ribalta, forte come e più di prima. Il 1947 è l’ultimo anno del contratto di consulenza decennale che lega i tre fratelli alla Maserati. La scelta tra la prosecuzione sotto la gestione Orsi e l’abbandono dell’azienda che porta il loro stesso nome è molto sofferta. I tre decidono infine di lasciarla e di fondare a San Lazzaro di Savena, vicino a Bologna, la OSCA (Officine Specializzate Costruzione Automobili), dove realizzano modelli sportivi e da competizione di piccola cilindrata.

Già nel 1948 è iscritta alle gare la MT4, una 1100 a quattro cilindri. Vince il Gran Premio di Napoli, guidata da Luigi Villoresi. Nei suoi successivi 15 anni di attività, l’OSCA consegue diversi successi, compreso un trionfo alla 12 Ore di Sebring del 1954 con la MT4 1450 guidata dal grande pilota britannico Sterling Moss. Batte inoltre record mondiali di velocità (ben 18 quelli infranti dalla Simpson Special) e produce automobili da Gran Turismo oltre a diversi motori vittoriosi in ambito motonautico.

Alla fine del 1964 i fratelli Maserati cedono la OSCA alla MV Agusta, che a sua volta la chiude nel 1967. Pur essendo il più giovane dei tre fratelli, Ernesto è il primo a morire nel 1975, seguito da Bindo (1980) ed Ettore (1990). La Maserati nel frattempo è diventata una casa costruttrice di automobili esclusivamente stradali. Le vicende societarie hanno visto un continuo susseguirsi di alti e bassi, gli stessi che caratterizzavano l’azienda ai tempi in cui  erano i fratelli a tenerne le redini. Ciononostante, esattamente come allora, le turbolenze gestionali non le hanno impedito di diventare un’icona di eccellenza ingegneristica ed eleganza, ancora oggi ambita ed ammirata in tutto il mondo.

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