Racconti dalla Motor Valley
Dino Bandini e la Collezione dell’Automobile Bandini, i custodi della storia del grande zio Ilario.
Se c’è una parola che può riassumere più di ogni altra la storia delle Automobili Bandini questa è unicità. Sia per la straordinarietà del personaggio che l’ha resa possibile, una figura tra le più incredibili della Motor Valley emiliano-romagnola. Sia per la non replicabilità dei pezzi prodotti da questa piccola casa costruttrice, un’officina di meraviglie dal carattere squisitamente artigianale capace di tener testa ai grandi marchi nelle più importanti competizioni automobilistiche di tutto il mondo.
75 esemplari unici, prodotti a mano, pezzo per pezzo, dal loro padre-creatore, il progettista, costruttore, meccanico e pilota Ilario Bandini. Un Canova dell’automobilismo che era anche un po’ Leonardo. Pioniere dell’aerodinamica e dell’utilizzo di materiali leggeri, immortalava nelle linee sinuose e armoniche delle sue automobili un connubio perfetto di design e tecnologia.
Oggi, a quasi trent’anni dalla sua scomparsa, dei 75 esemplari costruiti tra il 1946 e il 1992 ne restano 47. Nove di questi sono custoditi nella Collezione dell’Automobile Bandini, la collezione iniziata da suo nipote Dino, tutt’oggi il custode geloso e generoso dei gioielli di famiglia e il riferimento di tutti i possessori di auto Bandini.
È lui che quotidianamente, insieme a restauratori fidati e selezionati, si prende cura dei pezzi che compongono la collezione. È lui che presiede il Registro Storico Bandini, l’archivio che tiene traccia di tutte le Automobili Bandini a garanzia di proprietari e aspiranti acquirenti. Ed è sempre lui che ogni giorno, anche il sabato e la domenica, accoglie i visitatori della Collezione affinché possano godere appieno, e in modo totalmente gratuito, dell’incanto di questi ineguagliabili prodigi.
“Quando una Bandini e una Ferrari sono parcheggiate l’una di fianco all’altra, le persone guardano di più la Bandini, mica la Ferrari”, sottolinea Dino Bandini. “Ma solo perché le Bandini sono più rare”, si affretta poi a precisare, come se volesse evitare anche il più piccolo sgarbo al mitico Drake, che di Ilario Bandini era un grande estimatore e amico personale.
Dottor Bandini, com’è nata questa Collezione?
Era il 1987, io mi trovavo a New York. Mi capitò tra le mani una rivista d’auto americane, nella quale vidi pubblicato l’annuncio di vendita di una fantomatica Bandini Formula Junior con motore posteriore. Si trattava ovviamente di un clamoroso falso, perché mio zio non ha mai costruito, né aveva mai pensato di farlo, una Junior con motore posteriore. Al rientro in Italia glielo raccontai subito. “Falsificano le Ferrari, perché non dovrebbero falsificare le Bandini?” fu la sua risposta. Io però all’epoca ero l’unico nipote maschio, e vissi quella vicenda come un affronto al nome della famiglia. Fu allora che presi la decisione di dedicarmi alla veridicità delle Automobili Baldini. Cominciai così, tra un paziente e l’altro (Dino Bandini di professione è dentista, ndr), a sfogliare la rivista Classic & Sports Car. E a mandare dei fax. Parecchi fax. Li spedivo ai dealers di auto d’epoca di tutto il mondo, per ricercare informazioni e segnalare il mio interesse all’acquisto. Ricordo ancora l’emozione di quando lo sentivo squillare, e la gioia infinita che provavo quando mi arrivava una risposta positiva. La mia prima Bandini arrivò nel 1995, tre anni dopo la scomparsa di mio zio Ilario. La comprai negli Stati Uniti, dove le Bandini erano molto note per via dei successi conseguiti nei campionati SCCA (Sports Car Club of America). In quegli anni mi aiutava molto un amico di Dallas, proprietario di due Bandini, con cui ricostruivo la storia delle auto in vendita e organizzavo il trasporto in Italia, via mare attraverso l’oceano e poi qui fino a Villa Rovere.
Questo è stato il passato. E il presente della collezione qual è?
Piano piano la Collezione è cresciuta fino a diventare praticamente un museo. Ci sono dei cimeli di mio zio Ilario, a corredo delle nove auto esposte che io stesso presento ai visitatori con dovizia di particolari e frammenti di storia, emozionandomi ogni volta come se fosse la prima. Ma so dove sono ubicate anche tutte le altre Bandini ancora esistenti, e mi sento il punto di riferimento per tutti i proprietari e gli appassionati Bandini. Mi contattano da ogni parte del mondo, per avere informazioni sui possibili valori congrui, sulla veridicità e sulla storia delle auto.
E quali sono le ultime novità dal mondo Bandini?
Di recente ho ricevuto la notizia della nascita del primo Bandini Club Japan. E della vendita, sempre in Giappone, di una Bandini Saloncino, una delle quattro berlinette costruite da mio zio, alla sbalorditiva cifra di un milione e duecentomila euro. Se pensiamo che al vecchio proprietario l’auto era costata “solo” 400.000€, si capisce come le Bandini siano oggi un ottimo investimento economico.
Qual è il pezzo più pregiato della collezione? E quello a cui è più legato?
Il pezzo più pregiato è probabilmente quello di cui ho appena ultimato il restauro: la Bandini GT 750 Zagato, la prima biposto coperta a indossare lo stemma Bandini. Quello a cui sono più legato è la 750 Sport Internazionale, chiamata affettuosamente Saponetta da mio zio per via delle sue forme rotondeggianti.
Perché proprio la Saponetta?
Perché è una delle prime che ho acquistato, una delle più maschie, a dispetto del nome, e una delle più comode da guidare. È una delle due vetture con cui ho partecipato alla Mille Miglia, assieme alla 750 Sport Siluro. Ed è l’auto che ha vinto, due anni fa, il Primo Concorso di Eleganza del Principato di Monaco, davanti a una Ferrari Le Mans, perché una zia del Principe Alberto se ne era innamorata.
Cosa colpisce di più i visitatori della sua collezione?
Il lavoro artigianale con cui sono state costruite. Il fatto che tutte le componenti di queste automobili, dal telaio, al motore, alla carrozzeria, fossero prodotte da mio zio Ilario. Che aveva completato la sesta elementare e si era fatto completamente da solo, prima in Italia e poi in Eritrea, fino ad essere insignito, dall’Università di New York, della Laurea Honoris Causa in Ingegneria Meccanica, come capitò solo a Enzo Ferrari e Ferruccio Lamborghini.
C’è qualche ricordo di suo zio che vuole condividere?
Sono tanti gli aneddoti su di lui, ma due sono quelli che amo raccontare ai visitatori della Collezione, perché a mio avviso descrivono al meglio la natura del personaggio. Il primo è una frase da lui stesso pronunciata: “Non ho mai rinunciato a mettere in pratica un’intuizione o un’idea, non ho mai guardato con ammirazione le innovazioni degli altri senza cimentarmi nella sperimentazione, per non dover dire un giorno Ah, se avessi provato!”. Il secondo narra di un episodio che ha come protagonista Ilario e un suo pilota. Questi, parlando con lui al termine di una gara, lamentava di non essere potuto andare forte a causa della rottura del contagiri. Ilario gli rispose: “Se a un direttore d’orchestra, per colpa di una folata di vento, gli volasse via lo spartito, lei pensa che bloccherebbe l’orchestra? Certo che no, continuerebbe a dirigere la musica. Per andare veloce in pista lei deve avere orecchio per il suono del motore, non ha bisogno di guardare il contagiri per sapere quando cambiare marcia”.
Ci sono stati dei visitatori che l’hanno particolarmente colpita?
Una volta venne Sgarbi. Quando vide la Siluro con la carrozzeria non verniciata, rivestita quindi di questo semplice strato di alluminio, battuto a mano con martello e modellato con sacchi di sabbia, esclamò: “Questa sì che è arte!”. Ma quello che mi stupì più di tutti fu il Re di Svezia, che venne a visitare la Collezione dopo aver partecipato, in incognito, alla Mille Miglia. Era informatissimo sulle Bandini, e ci tenne a ricordarmi che una Bandini 750 con motore Saab 3 tempi, guidata da Gene Parsons, aveva ottenuto molti successi negli Stati Uniti.
Cos’è per lei la Motor Valley?
È lo strumento con cui valorizzare il patrimonio motoristico di questo territorio. Quasi tutti i visitatori, quando arrivano alla Collezione, sono appena stati o stanno per andare anche al Museo Ferrari, al Museo Lamborghini o in una delle altre collezioni sparse in regione. Grazie alla Motor Valley questa ricchezza e questa varietà possono essere valorizzate, e rese sempre più attrattive per tutti gli estimatori e appassionati.