

“Un’estate lunga dieci anni” è il titolo del libro che racconta la straordinaria avventura della Scuderia Diemme: un gruppo di amici romagnoli, senza un passato nel motorsport, che negli anni ’70 seppe costruire una delle squadre private più innovative ― e anche un po’ cool ― del panorama italiano. Ne abbiamo parlato con l’autore, Enrico Borghi.
Tutto cominciò a Lugo, in provincia di Ravenna. Romagna anni ’70: un periodo in cui tanti contadini iniziano a lasciare la terra per buttarsi nell’imprenditoria. È il caso della famiglia Melandri, che fonda un’azienda specializzata nella costruzione di macchinari per le cantine vinicole. L’attività va bene e Rino Melandri diventa presto un imprenditore stimato, con risorse e visione. A quel punto decide di lanciarsi nella meccanica, proprio come ― non molto lontano da lì ― avevano fatto Stanguellini, Ferrari e Lamborghini.
Del resto Lugo è una terra di motori. Qui Enzo Ferrari conobbe Enrico Baracca, padre del celebre aviatore Francesco, al quale è dedicato il monumento che ancora oggi domina la piazza principale. Più tardi incontrò anche la madre, la contessa Paolina, che ― raccontò Ferrari ― un giorno gli consegnò una foto del figlio accanto al suo aereo, contraddistinto dal disegno di un cavallino rampante, dicendogli: “Ferrari, metta sulle sue macchine il cavallino rampante del mio figliolo, Le porterà fortuna”. Come si suol dire, il resto è storia.
Enrico ci racconta poi di un altro protagonista fondamentale di questa vicenda: il bar. Un vero cinema quotidiano, con attori i lavoratori che vi si rifugiavano a fine giornata. E se in Italia i bar sono i templi delle discussioni calcistiche, a Lugo invece si parla solo di auto e moto. È proprio lì che Rino Melandri viene a sapere di un pilota locale, Mario Lega, talentuoso ma senza grandi mezzi economici. E non era il solo: anche all’interno della sua azienda c’era un giovane che correva, Giovanni Proni, che ogni lunedì mattina radunava una platea di colleghi curiosi di ascoltare i mirabolanti racconti legati alle sue avventure in pista.
È in questo clima che a Rino scatta l’illuminazione: mettere insieme una squadra fatta solo di piloti e meccanici di Lugo. Un gruppo di amici che corre, o in altre parole, la squadra del bar. Perché l’attività principale dei Melandri resta pur sempre il vino: la scuderia è un dopolavoro, nata più per passione che per calcolo imprenditoriale. Il libro ― spiega Enrico ― racconta proprio la storia di persone che si sono dette: noi non siamo imprenditori, abbiamo un mestiere, e nel tempo libero facciamo una scuderia. Eppure, a dispetto della leggerezza con cui tutto nacque, la Diemme finì per essere migliore di tanti professionisti, guadagnandosi simpatia e rispetto in Italia e nel mondo. Perché in fondo restarono sempre un gruppo di amici che se la godevano, ma capace di risultati straordinari: tolte la MV Agusta e la Yamaha, subito dopo c’era la Diemme.
Melandri è bravo: sa scegliere le persone giuste. La Scuderia Diemme nasce ufficialmente nel 1973 e al debutto sorprende tutti, vincendo subito. Va persino al Mondiale con Johnny Cecotto e batte Giacomo Agostini nella prima gara in Francia.
Con i risultati cresce anche la visibilità. E Rino, da buon imprenditore, capisce che le cose vanno fatte a modo. Al suo fianco c’è Paolo Pattuelli, un piccolo proprietario terriero che per passione diventa manager a tempo perso, e lo fa in modo eccezionale. Insieme girano paddock, officine, circuiti. Osservano, studiano, capiscono cosa serve. E Rino compra tutto ciò che occorre: il tipico saper fare romagnolo, condito da un pizzico di malizia. Il paragrafo più sotto, dedicato ad alcuni aneddoti raccontati nel libro, sarà un’ottima testimonianza di tutto ciò.
Il cuore della squadra è un gruppo di amici che si trovano alle sei di sera e che a mezzanotte sono ancora insieme. E meno male che di fronte alla sede della scuderia c’è la trattoria La Mirola, che diventa la “mensa ufficiale”: cappelletti al ragù come se piovessero. A forza di stare insieme non si capisce più quale sia il loro vero mestiere: quello del giorno o quello della sera? È proprio questo il collante della Diemme.
Arriverà poi il bivio. Alla Diemme, infatti, sono talmente bravi da non poter più restare underdog: o si diventa professionisti o si smette. Quando la squadra si trova a un passo dal titolo mondiale, proprio allora Rino Melandri dice basta. Fare lo step successivo significa infatti assumere altre persone, tagliare fuori degli amici, rispondere a chi lo finanzia. Far finire la magia. Così chiude. Dunque non è stata una sconfitta né una resa, bensì un gesto di coraggio.
Da qui il titolo scelto attentamente da Enrico Borghi: “Un’estate lunga dieci anni”.
«Chi conosce questa zona lo sa. Tu arrivi ad agosto al mare, e capisci che tra un po’ è finita. Ti tocca tornare a scuola, ti tocca tornare a lavorare. Ti viene la malinconia. Però quella malinconia è bella, perché hai conosciuto degli amici, hai fatto delle belle esperienze. L’estate della Scuderia Diemme è durata dieci anni.»
Anche la foto copertina scelta dall’autore (in testa all’articolo) non è casuale.
«È la foto di amici che scherzano. Sparano cazzate. E battono Agostini. Portano Cecotto a vincere i gran premi del mondiale…»
Il libro è pieno di storie incredibili.
Come quella della Yamaha introdotte in Italia di contrabbando: negli anni ’70, infatti, le moto giapponesi non potevano essere importate liberamente in Italia, per proteggere l’industria nazionale. Tuttavia, erano anni in cui Yamaha, Suzuki e Kawasaki stavano rivoluzionando il motociclismo. La Diemme allora si arrangia: partono di notte con un camion, ci mettono dentro una vecchia carcassa di una moto recuperata da uno sfasciacarrozze, e la colorano di bianco e rosso. Dopodiché alla dogana svizzera ― nel cuore della notte, quando il doganiere “dormiva” ― la mostrano spiegando che devono andare a prendere dei ricambi. Una volta oltre confine si disfano della moto, prendono la Yamaha nuova, e tornano dicendo di aver preso i pezzi di ricambio al doganiere. Ed ecco recuperato il materiale da studiare e copiare.
Oppure l’episodio dell’hospitality inventata senza saperlo. Oggi in Formula 1 e MotoGP i motorhome hanno due o tre piani. E costano più di un reparto corse. Allora, invece, Rino pensa solo ai suoi meccanici: romagnoli che non potevano accettare di mangiare male quando andavano in giro per circuiti. Così organizza scatoloni pieni di pasta, cappelletti e ragù. Nel retro dei box cucinano per tutti. Il profumo invade il paddock, e gli inglesi, i francesi, gli svedesi iniziano ad arrivare curiosi. Il simpatico team di Lugo allora aggiunge posti a tavola. E dava da mangiare al paddock. C’era la coda con di gente col piattino.
A distanza di cinquant’anni, il figlio di Rino, Massimo Melandri ― oggi presidente della Diemme Enologia ― ha voluto fare un regalo al padre: questo libro. È per questo che Enrico Borghi si è messo all’opera.
Un libro pieno di sogni, aneddoti e di risate. Un libro che non è nostalgia, ma gioia.
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