Racconti dalla Motor Valley
L’uomo dietro al mito “dottorcosta”: il racconto del viaggio che ha portato il dott. Claudio Costa a rivoluzionare il mondo del motociclismo.
Il dottor Claudio Costa, noto ai più appassionati come “dottorcosta”, è una figura leggendaria nel mondo del motociclismo. Fondatore della Clinica Mobile, ha dedicato la sua vita alla sicurezza e al benessere dei piloti, creando un approccio unico e profondamente empatico alla medicina sportiva.
Oggi, dopo una vita di sfide e di successi, Claudio Costa ci racconta il viaggio che lo ha portato ad essere la figura che conosciamo, trasformando il suo amore per il motociclismo in una missione di cura e supporto per i suoi protagonisti.
Un racconto introspettivo che ci ha permesso di conoscere meglio l’uomo dietro al mito “dottorcosta”, e di apprezzare ancora di più il ruolo che ha ricoperto nel dare una nuova forma alla storia del motociclismo.
Il viaggio del dott. Costa parte dal suo territorio d’origine e dalle persone che lo abitano. Una riflessione sul significato della Motor Valley e sulle origini di questa terra, l’incontro tra la mente ingegnosa dei suoi abitanti e il progresso tecnico di cui è stata protagonista. Una terra dove la passione ha prodotto realtà visionarie e personaggi di spicco.
“La prima cosa che ci dobbiamo chiedere è questa: perché tutto questo nasce proprio in questa zona dell’Emilia-Romagna? Questa terra è stata, nei secoli, una realtà contadina. Una realtà fatta di persone che vivevano a stretto contatto con la natura, con le sue meraviglie, con il suo stupore. Quando il percorso di questa popolazione ha incrociato quello dell’innovazione, della meccanica e della tecnica, il progresso ha scatenato l’ingegnosità di questa gente sviluppando menti estremamente sopraffine. Ma c’è di più: i romagnoli hanno una caratteristica unica, sono pieni di passione.
Io ho vissuto direttamente il genio e la follia di mio padre. Ha creato il Circuito di Imola, e l’ha fatto basandosi sul suo ingegno e la sua passione, in maniera tale che corrispondesse alle esigenze di quei tempi. È tutto merito della follia e della genialità che, come altri romagnoli, caratterizzava anche mio padre.”
Genio e follia: Checco Costa, fondatore dell’Autodromo di Imola e promotore di alcune delle gare più iconiche nella storia del motociclismo moderno, è sicuramente uno dei grandi geni visionari di questa terra. Il suo impatto è ancora vivo nel ricordo del dott. Costa.
“Mio padre non ha solo creato il Circuito, ma ci ha portato le più belle corse della storia del motociclismo: La Coppa d’Oro, La Conchiglia d’Oro, il Gran Premio delle Nazioni. Il 23 aprile del 1972 ha organizzato la 200 Miglia, portando l’America sulle rive del Santerno. Ha innovato l’intero settore delle corse: ha portato i piloti a cambiare le loro tute, ad avere i loro nomi scritti sulla schiena. Le partenze non erano più in spinta, ma in moto. Ha portato in Italia il motocross, e ha ospitato 15 Campionati del Mondo.
Ha creato il motociclismo moderno, quello che oggi vediamo con Bagnaia, con Bastianini, Marquez, Acosta, Martìn. È stata un’esplosione di genialità. Questo era mio padre.”
Empatia e frustrazione per una realtà difficile da accettare sono la base delle invenzioni che rivoluzioneranno il concetto di sicurezza in pista.
“Un giorno, quando ero piccolo, sono stato preso e portato sull’asfalto di un circuito. Ho cominciato a conoscere e amare i piloti di quel mondo. E poi ho incontrato e conosciuto la tragedia, perché ho imparato che spesso i piloti morivano su quelle piste.
Non mi piaceva, era una frustrazione grande, enorme, di una realtà che non mi stava bene. Mi piaceva immaginare che i piloti potessero stare bene, ma non era sufficiente. È grazie ad un meccanismo emozionale, che si chiama empatia, che ho cominciato a conoscere il dolore, a riconoscere che il mondo è fatto anche di persone che soffrono. E, a un certo punto, ho deciso di voler fare qualcosa per cambiarlo. Ho messo i rianimatori in pista, ad ogni curva, in modo che se un pilota avesse un incidente, anche grave, potesse essere salvato.
È nato così, durante la prima 200 Miglia, la Daytona d’Europa del 23 aprile 1972, il primo servizio medico e di soccorso che ha anticipato, in un certo senso, il 118. È da qui, e dalla sofferenza che provavo stringendo al petto Jarno Saarinen e Renzo Pasolini morti in un tragico incidente il 20 maggio 1973 a Monza, è nata la Clinica Mobile.
Le emozioni ci permettono di spostarci in altri luoghi, di viaggiare con la mente tra i ricordi. Il dott. Costa ci trasporta in Giappone, sotto i ciliegi in fiore, rievocando il tragico giorno in cui Daijiro Kato fu portato al Medical Center del circuito di Suzuka.
“C’è un momento che rivedo molto spesso nei miei ricordi. Vedo l’immagine dei ciliegi in fiore del Giappone e, tra le fronde, una scena che mi ha accompagnato più volte nel corso degli anni. È il ricordo di quel giorno a Suzuka, dove Kato è stato portato al Medical Center del circuito, coperto da un lenzuolo perché considerato morto. Io ero lì e, di fronte alla tragedia, ho tolto il lenzuolo e ho fatto di tutto per salvarlo. Ho tentato di rianimarlo, cercando di richiamarlo alla vita e alla nostra grande amicizia. E ci sono riuscito. È stata una cosa che mi ha riempito di euforia, di ebbrezza, di gioia.
Dopo due settimane è volato in cielo. Non ho mai provato un dolore più grande di quello. Ma, allo stesso tempo, non ho mai vissuto un momento più inebriante di quando il suo cuore ha ripreso a battere, anche solo per poco. È questo il significato più profondo del mio lavoro. La vita è come un germoglio di un ciliegio in fiore: naturalmente perfetta, ma solo per una primavera.”
Una storia che ci ricorda come il dott. Costa non sia stato solo il medico di tanti piloti e leggende del motociclismo, ma come la sua dedizione e l’incredibile forza emotiva lo abbia portato a stringere profonde relazioni con tutti coloro che hanno attraversato, almeno una volta, la soglia della sua Clinica Mobile.
“Che io sia legato a piloti come Melandri, Capirossi o Simoncelli, per il quale ho smesso di piangere solo quando ho finito le lacrime, non è un segreto.
Non ho mai espresso delle preferenze tra coloro che ho avuto la fortuna di conoscere in pista, come una mamma non dice mai ai figli qual è il prediletto. Mi sono sempre rifiutato di farlo, tranne in un caso, quello di “Mick” Doohan. Quando eravamo in Olanda Mick Doohan rischiò di perdere non solo una gamba, ma anche la vita. L’ho portato via, gli ho legato le gambe e grazie ad una camera iperbarica lo abbiamo tirato fuori da quella grande disgrazia. E da lì è risorto per vincere cinque titoli di Campione del Mondo. È un capitolo di storia che porto sempre nel cuore.”
Un’altra pagina di questa storia è legata ad Ayrton Senna. Un incontro rimasto segreto, organizzato anni prima di quel tragico 1 maggio 1994, che ha segnato profondamente il dottor Costa dando forma ad un legame indissolubile tra i due. Un legame che, dopo tutti questi anni, rivive ancora in modo solido nella sua mente.
“Quella di Senna è un’altra pagina di dolore. Ho vissuto tanti momenti del mondo dello sport motociclistico, e le tragedie mi hanno segnato, mi hanno messo di fronte a due sentimenti incredibili che sono la tristezza e la disperazione.
Se penso al 1 maggio del ‘94 mi viene in mente un incontro di diversi anni prima, quando un giovane fotografo, Angelo Orsi, mi venne a prendere perché Senna in persona mi voleva conoscere. Angelo mi portò al suo albergo e, quando ci incontrammo, fu una vera tempesta di emozioni. Mi chiese molti consigli per gli allenamenti, tantissime informazioni per mantenersi in perfetta salute. Alla fine di quell’incontro ci siamo abbracciati, e questo abbraccio me lo porto ancora nel cuore.
Mi disse che quell’incontro doveva rimanere un segreto. Io avrei voluto urlarlo al mondo, raccontare che ero stato interpellato da un pilota capace di una guida suprema, una leggenda. Io, il dott. Costa, ero diventato amico di questa leggenda. Ma sono riuscito a mantenere il segreto. Quando Ayrton perse la vita al Tamburello, nel Circuito di Imola, ero terribilmente scosso dal fatto che non avrei mai più sentito la sua voce chiedermi aiuto. Mi rimaneva solo, nell’amaro di quel momento, il dolce sapore di aver mantenuto la promessa.”
Quello del dott. Costa è uno spirito intraprendente che non conosce limiti, una mente che vorrebbe continuare a progettare nuove avventure. Il suo racconto si chiude con un desiderio, il ritorno ad un luogo intriso di ricordi.
“C’è ancora molto che vorrei fare. Con la fantasia, ormai, perché il fisico non me lo permette più.
Ho un desiderio, che è sempre legato al ricordo di mio padre. Quando ero piccolo, mi portava a vedere la 24 Ore di Le Mans, e io per 24 ore stavo nel box della Ferrari a seguire tutte le gare di quegli anni. Quando andavamo nei circuiti, mio padre ci teneva sempre a farmi vedere anche quello che c’era intorno per farmi scoprire il mondo. Vicino a Le Mans c’è un posto a cui sono molto affezionato: Mont Saint Michel. Negli anni ho viaggiato in tutto il mondo, ma se dovessi scegliere un ultimo posto in cui andare tornerei lì.”
Un viaggio nel cuore del motociclismo e in quello di uno dei suoi più grandi protagonisti. La storia del “dottorcosta” parla di umanità e innovazione, di una passione che non ha solo rivoluzionato la sicurezza in pista ma ha anche infuso un nuovo senso di empatia nel mondo delle corse. Emozioni che hanno guidato ogni passo della sua carriera, dimostrando che è stata molto più di una semplice professione.
Quello del dott. Costa è un racconto che porta con sé un messaggio forte e chiaro, e che è da poco approdato anche sui social media. Tramite l’apertura dei suoi canali ufficiali, questo pezzo di storia di motociclismo potrà arrivare ad un pubblico sempre più vasto di appassionati, permettendo loro di conoscere davvero l’uomo dietro il mito “dottorcosta”.