Racconti dalla Motor Valley

Pilota, imprenditore, costruttore: semplicemente, Ilario Bandini.

Se esistesse un pantheon della Motor Valley, non c’è dubbio che Ilario Bandini ne farebbe parte. E se ne ripercorressimo l’intera storia, figurerebbe di diritto come uno dei suoi padri fondatori.

Pilota, costruttore, imprenditore: Ilario Bandini faceva tutto da sé. Lui le auto le costruiva, le modificava, le portava in gara e le esportava nel mondo. Romagnolo, carattere mite ma mente mai doma, è tra i protagonisti di una Motor Valley ancora ai suoi albori, artigianale più che industriale, fatta di imprese leggendarie nate nel garage di casa.

Legatissimo alla sua terra, ha ottenuto più fama all’estero che in Italia: la passione lo ha portato a sfidare nomi molto più grandi di lui, ma con ingegno e fantasia è riuscito a imporsi sulla scena internazionale, conquistandosi un posto indelebile nella storia dell’automobilismo sportivo, e in particolare tra gli appassionati d’oltreoceano.

La formazione e l’esperienza in Africa.

Ilario Bandini nasce a Rovere, frazione di Forlì, il 18 aprile 1911. I genitori sono commercianti di cavalli ma lui si mostra subito attratto dai veicoli di nuova generazione. A tredici anni inizia a lavorare in un’officina meccanica di Forlì e dà il via alla sua avventura nel mondo dei motori e delle automobili.

Nel 1936 parte per l’Eritrea, all’epoca colonia italiana, dove riparando camion ed effettuando trasporti da Decamerè ad Asmara riesce a mettere da parte una discreta somma. La usa al rientro in Italia, nel 1939, per aprire una sua attività – un’autorimessa con servizio di noleggio auto – e per partecipare alle competizioni sportive. Non a quattro ma a due ruote, in sella a una Gilera acquistata da un concessionario di Forlì. A seguito di un incidente a Imola, però, si frattura l’unica gamba rimasta buona dai precedenti infortuni, così decide di abbandonare le moto e dedicarsi esclusivamente alle corse in auto.

Nell’aprile del 1940 partecipa alla Mille Miglia con una Fiat Balilla Coppa d’Oro, poi l’entrata in guerra dell’Italia causa la sospensione di tutte le attività sportive. Tra le conseguenze del conflitto c’è anche la scarsità di carburante, cui Bandini trova il modo di far fronte progettando e implementando un sistema di alimentazione a gasogeno per le sue auto.

Da una Fiat 1100 alla prima Automobile Bandini.

È quella la prima di una lunga serie di prove di estro e capacità fuori dal comune. La seconda si ha quando decide di fare letteralmente a pezzi la sua Fiat 1100, per nasconderla alle requisizioni tedesche. Nel 1946, a guerra conclusa, la rimonta da zero e sfrutta l’occasione per sperimentare nuove soluzioni progettuali. Modifica telaio e schema sospensivo, utilizzando elementi derivati da una moto Gilera. Anche sul motore, quello originario della 1100, appone il suo tocco per aumentarne le prestazioni.

Per realizzare la carrozzeria, invece, monolitica biposto (barchetta) dalle linee eleganti e al tempo stesso sportive, si avvale del supporto di Rocco Motto, carrozziere torinese specializzato nella lavorazione dell’alluminio. A lavori completati, Bandini aggiunge le immagini stilizzate di un galletto rampante e di una caveja romagnola, nere su sfondo giallo, delimitate sul lato inferiore dalla bandiera italiana e dalla scritta Bandini: è lo stemma della Automobili Bandini, che proprio sulla 1100, il primissimo modello prodotto da Ilario Bandini, fa il suo debutto assoluto.

 

 

I primi successi a stelle a strisce.

Da qui in poi si dedica anima e corpo alla produzione di automobili da corsa, che spesso è lui stesso a guidare nelle più importanti competizioni motoristiche.

Nel 1949 partecipa alla Mille Miglia con la nuova Bandini 1100 con carrozzeria siluro, parafanghi tipo moto e motore bialbero di derivazione Alfa Romeo, e di lì a poco ottiene la prima vittoria di classe al Giro dell’Umbria.

Le Bandini si dimostrano competitive, e Tony Pompeo, il re dell’import di auto da corsa nella Costa Est degli Stati Uniti, intuisce che quei telai, così leggeri ma così stabili, abbinati a motori Crosley possano fare sfracelli nella categoria 750.

Bandini non perde tempo, e modificate lubrificazione, cilindrata e distribuzione dei Crosley, assemblato il tutto su telai di soli 18 kg e nelle sinuose carrozzerie di Motto, dà vita alla Bandini 750 sport siluro, l’auto che lo porta alla consacrazione. Dotata di avantreno preciso e stabile, di un baricentro basso e un’elevata efficienza aerodinamica, la 750 sport siluro esalta le qualità dei piloti, e permette a Dolph Vilardi e Melvin Sachs di vincere nel 1955 e nel 1957 il campionato nazionale SCCA (Sports Car Club of America). Le Bandini diventano delle vere e proprie star: finiscono sulle copertine delle riviste più prestigiose, vengono esposte a Chicago e al Madison Square Garden di New York. William F. Nolan, pluripremiato autore e sceneggiatore americano, le sceglie per l’ambientazione di un racconto.

Grazie ai suoi continui successi, la 750 sport siluro diventa il modello più longevo delle Automobili Bandini. Prodotta dal 1950 al 1956, aggiornata con la massima maestria dallo stesso Bandini per conformarsi ai cambi di regolamento – celebre l’applicazione dei parafanghi tipo moto, che una volta smontati rendono l’auto idonea alla classe “750 corsa” – resta a lungo competitiva, arrivando a conseguire l’ultimo successo nel 1963, a tredici anni dalla sua prima apparizione.

 

 

La massima espansione delle Bandini.

Mentre oltreoceano collezionano un trionfo dietro l’altro, tra i confini nazionali è Bandini stesso a dare lustro alle omonime automobili. Con la 750 sport siluro e la nuova Bandini formula 3, il costruttore e pilota forlivese partecipa a diverse gare ottenendo alcune vittorie importanti, come quella del 1952 alla Bologna-Raticosa.

Per intensificare il suo impegno nelle corse fonda il Gruppo Sportivo Bandini, che si affianca così al lavoro di autorimessa e concessionaria e allo sviluppo e alla produzione delle auto, che Bandini continua a curare di persona in ogni minimo dettaglio, dal disegno ai test in strada.

Due modelli si distinguono su tutti: la Bandini GT 750 Zagato, una berlinetta biposto vincitrice nel 1957 del “Concorso d’eleganza città di Rimini” e ispiratrice dell’iconico design a doppia gobba simbolo della carrozzeria milanese. E la Bandini 750 sport internazionale “Saponetta”, discendente della 750 sport, di cui un esemplare è esposto al Museo Marconi di Los Angeles.

 

 

Nel 1960 la popolarità delle Bandini è all’apice. Ilario visita la fabbrica Crosley a Cincinnati e riceve la proposta di trasferirvi l’azienda, ma lui non se la sente di lasciare la sua Romagna. Nel frattempo crea la Bandini 1000 P, con cui sposa la rivoluzione tecnologica del motore al retrotreno.

Da solo, però, Bandini fatica a reggere i continui cambi di regolamento e la concorrenza sempre più agguerrita delle grandi case costruttrici. A metà degli anni sessanta decide così di interrompere la produzione per gli Stati Uniti, e sceglie di dedicarsi alla costruzione di prototipi per gentlemen driver che corrono sotto assistenza diretta.

La produzione progressivamente diminuisce, ma la voglia di fare, innovare e sperimentare non si ferma mai. È del 1972 la Bandini mille sport prototipo, la prima dotata di alettone posteriore. Nel 1975, insieme al Gruppo Piloti Bandini, istituisce una fiera dedicata all’automobilismo, che fino al 1979 porterà a Forlì la McLaren Formula 1 di James Hunt, la Ferrari di Niki Lauda e decine di migliaia di visitatori. Nel 1980 Bandini crea la 1300 cc 16 valvole, con iniezione meccanica e accensione elettronica, alla cui guida partecipa nel 1985 in quella che sarà la sua ultima gara, la cronoscalata Predappio-Rocca delle Caminate, da lui stesso riportata in auge dopo una lunga interruzione. L’ultima creazione è la Bandini Berlinetta 1000 turbo 16V, completata all’età di 80 anni, poche settimane prima di spegnersi a Forlì, il 12 aprile 1992.

Il lascito di un uomo comune e straordinario.

In quasi cinquant’anni di attività, la Automobili Bandini ha prodotto un totale di 75 vetture, o per meglio dire esemplari. Divenuti col tempo veri e propri oggetti di culto, 47 di loro sono stati rintracciati e censiti dal Registro Storico Bandini, curato da Dino Bandini, nipote di Ilario, garante dei capolavori dello zio e custode della Collezione Automobili Bandini, dove è tuttora possibile ammirare alcune delle vetture più iconiche.

 

 

Ma i numeri raccontano solo una parte della storia di un uomo il cui estro e il cui ingegno erano secondi soltanto alla sua modestia. La grandezza di Ilario Bandini è nelle Chiavi della Città ricevute dal Sindaco di Daytona nel 1960, al termine di una tournée oltreoceano nei luoghi più celebri dell’automobilismo americano.

È nella stima reciproca che lo legava a Enzo Ferrari, notoriamente riservato e selettivo nelle sue simpatie, che nel 1964 interviene personalmente alla premiazione della scuderia dell’amico “Bandén”. È anche, infine, nel successo personale di cui andava più fiero: la laurea honoris causa in ingegneria conferitagli nel 1981 dall’Università “Pro Deo” di New York. Un riconoscimento condiviso con il Drake e Ferruccio Lamborghini, un attestato di grandezza proprio dei grandi personaggi che hanno fatto la storia della Motor Valley.

 

 

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